
SK 3 – La grande la Natura radice all’inizio di tutte le cose è una realtà indeterminata e indifferenziata, non prodotta. I successivi sette (evoluti) sono prodotti (a partire da essa) e sono produttori (dei) sedici, che sono solo prodotti. Il principio supremo (di coscienza) non è né prodotto né produttore
Abbiamo visto nelle prime due strofe che l’obiettivo da perseguire per superare la sofferenza (SK1) è acquisire conoscenza dei tre livelli di realtà: assoluta, immanifesta e manifesta (SK2).
La terza strofa del Sāṃkhya è ancora un riassunto dei contenuti successivi, e introduce quelli che vengono di norma definiti i “25 evoluti”. La parola sanscrita sāṃkhya significa appunto numerare, contare: il testo enumera e descrive tutti i diversi componenti che compongono l’universo, a livello manifesto e immanifesto, la cui conoscenza e comprensione è essenziale per conseguire la liberazione dalla sofferenza.
Il livello immanifesto
Gli “evoluti” si evolvono a cascata a partire dal livello immanifesto più alto del sistema, che secondo il Sāṃkhya è costituito da mūla-prakṛti, la Natura radice. Un particolare che caratterizza questa visione filosofica è che la Natura radice non è prodotta dall’altro principio assoluto, che si trova a un piano ancora più alto, il Puruśa.
Quest’ultimo è il supremo e assolutamente isolato principio di coscienza: un Puruśa universale da cui derivano tanti puruśa individuali, ovvero tanti Sè, tante coscienze che animano i singoli esseri umani. Il principio di coscienza non deriva nulla, non ha una causa che lo produce, esiste a prescindere sempre immutato e identico a sé stesso dalla notte dei tempi e per l’eternità. Non è materia né energia, e come tale non si trasforma e non produce niente. Non si sa bene cosa sia, ma solo che c’è, al vertice del piano assoluto della realtà, imperturbabile e inaccessibile osservatore di tutto ciò che è in continuo divenire.
Un gradino più in basso, ancora nel livello immanifesto della realtà, si colloca la Natura radice, mūla-prakṛti. Questa forma estremamente rarefatta e indifferenziata di materia primigenia non è prodotta, ma solo producente, è pura energia potenziale in attesa che qualcosa vada a perturbare il suo stato di perfetto e assoluto equilibrio.
Quando tale equilibrio viene perso a causa dell’azione dei campi di forze (i tre guna: sattva, rajas e tamas) che iniziano a “comprimere”, a plasmare e trasformareenza posa in combinazioni sempre nuove la materia, ecco che inizia a formarsi la realtà manifesta.
E quello manifesto
Il mondo fenomenico a cui siamo abituati e con cui interagiamo nella quotidianità altro non è che un gigantesco costrutto mentale, parte di una realtà immanifesta ben più ampia e articolata, nonché abitualmente del tutto ignorata.
Gli evoluti che si formano a partire da mūla-prakṛti sono indicati semplicemente come “i sette” e “i sedici”, e verranno esaminati nel dettaglio più avanti nel proseguio del testo. In breve, dalla Natura radice discende per prima Mahat, la grande mente universale in cui tutto esiste e mediante cui tutto esiste. Mahat si colloca già sul piano manifesto, materiale e causale, ma rappresenta ancora in un certo qual modo un campo di potenziale rarefatto che può produrre “effetti” a valle.
Il primo di questi effetti è Buddhi, l’intelletto individuale. Si tratta del livello più alto che caratterizza il funzionamento della mente, caratteristico dei processi discriminativi. Buddhi è l’intelligenza che analizza e decide “a mente fredda” sulla base dei dati che le arrivano.
A sua volta, il prodotto di Buddhi è Ahamkara, il senso dell’Io. Anche ahamkara decide, ma lo fa sulla spinta degli accadimenti e delle emozioni che derivano dagli accadimenti della vita, spesso senza analizzare i fatti con calma e senza pregiudizi a priori. Un modo di procedere che può portare a grossi abbagli e a decisioni sbagliate di cui poi amaraente pentisi.
Ancora un livello più sotto c’è Manas, la mente sensoriale, che per la visione indiana è un verso e proprio “sesto senso” che coglie gli input che arrivano dal mondo esterno, fenomenico. I canali utilizzati per captare tali segnali comprendono i cinque organi di senso classici (jnana indryia, organi di “conoscenza”), a cui si aggiungono i cinque organi di “azione” (karma indryia), che permettono di agire e di comunicare nel mondo. Ogni organo di senso, inoltre, è collegato alla corrispondente specifica “facoltà percettiva” (tanmātra), e questa a sua volta con l’elemento grossolano (mahabhūta) corrispondente, tra i cinque che caratterizzano la tradizione indiana.
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